L’estate 2010 è una delle più belle della mia vita: la mia bambina cresceva dentro di me. Ricordo che le parlavo, la coccolavo ed ero spesso alla ricerca di libri che mi aiutassero a capire ancora di più la straordinaria esperienza che stavo vivendo. Fu allora che tra gli scaffali di una libreria trovai il libro di uno degli antesignani del parto dolce: il ginecologo e ostetrico francese Frédérick Leboyer. Ricordo che mi colpì molto il fatto che Per una nascita senza violenza fu scritto da Leboyer proprio nel mio anno di nascita. Questo fatto unito al racconto di mia madre della sua dolce e naturale esperienza mi spinse a leggerlo.
“Già nell’utero arrivavano al bambino i rumori che si creavano nel corpo della madre, gli scricchiolii delle articolazioni, i borborigmi intestinali. Inoltre, a ritmare tutto, il battito possente, il tamburo solenne del cuore materno. E finalmente la voce. La voce materna che segna per sempre col suo marchio il bambino. Ogni voce è unica, inimitabile. Esattamente come le impronte digitali. Il bambino è segnato dalla voce della madre. Egli la conosce, questa voce, molto prima di vedere la luce. È come tessuto sul suo ordito, sulle sue sfumature, le sue inflessioni, i suoi rumori.”
Nella prima parte del libro, Leboyer racconta il parto dal punto di vista del bambino, nel pieno della medicalizzazione, sottolineando gli aspetti di sofferenza che il piccolo vive. Nella seconda parte, cerca di aprirci gli occhi, perché “semplicemente con un po’ di intelligenza, si possono cambiare molte cose”, sostenendo il diritto della madre ad avere un buon parto e il diritto del bambino a una buona nascita.
“Con il neonato bisogna parlare il suo linguaggio. Il linguaggio anteriore alle parole. Anteriore a Babele, anteriore alla grande confusione. Il linguaggio del paradiso perduto. … Occorre parlare d’amore. … Per farsi capire dal neonato occorre parlare il linguaggio degli amanti.”
La semplicità di questa affermazione è disarmante, ma ce ne eravamo dimenticati. Qualche anno più tardi, un altro grande pioniere Michel Odent, ci parla dell’importanza dell’ossitocina, detta anche l’ormone dell’amore. Infatti, il nostro corpo la produce durante il parto, il rapporto sessuale e nell’avvio dell’allattamento…
Tornando a Leboyer, il racconto si snoda attraverso semplici accortezze: collochiamoci nel buio, per un incontro tra madre e bambino nella semioscurità, facciamo silenzio, dotiamoci di pazienza o meglio di una lentezza estrema, prossima all’immobilità. Il nostro tempo e il tempo del neonato sono pressoché inconciliabili. Il secondo è di una lentezza prossima all’immobilità. Il primo, il nostro, è un’agitazione prossima alla frenesia. Del resto, noi non siamo mai lì. Siamo sempre altrove. Nel passato, nei nostri ricordi. Nel futuro, nei nostri progetti. Siamo sempre prima o dopo. Adesso, mai.
Per incontrare il neonato… occorre essere lì…. Tramite un’attenzione appassionata…. Senza pregiudizi. In altre parole, vivendo il momento presente con il cuore.
È incredibile, poiché Leboyer è stato un precursore anche della Mindfulness – traduzione inglese della parola “Sati” in lingua Pali, che significa “attenzione consapevole” o “attenzione nuda” – infatti, grazie ai suoi viaggi in India si interessò di yoga e delle sue applicazioni per le donne incinte, in particolare attraverso il canto, la respirazione e il massaggio infantile.
Il momento presente, il qui e ora si ferma.
Eccolo! … E lo posiamo direttamente sul ventre materno. … Il ventre della donna ha la forma, la misura esatta del bambino. Convesso poco fa, ora concavo, sembra in attesa, come un nido. Inoltre, il suo tepore, la sua elasticità, il fatto che salga e scenda secondo il ritmo della respirazione, la dolcezza, il calore vivo della pelle, tutto lo rende il luogo per eccellenza dove deporre il neonato. Infine, e ciò è molto importante, la vicinanza consente di conservare intatto il cordone ombelicale. …Conservarlo intatto finché pulsa significa trasformare la nascita… rispettare il ritmo del bambino.
L’autore sa trasmettere attraverso il suo scritto anche profonde riflessioni filosofiche: Eccola iniziata per la prima volta, questa interminabile oscillazione, il principio stesso di questo mondo, dove tutto è respirazione, ondulazione, dove tutto, eternamente, nasce dal proprio contrario, il giorno dalla notte, l’estate dall’inverno, la ricchezza dalla povertà, la forza dall’umiltà. Senza fine. Senza principio. E ci ricorda il ruolo genitoriale comprensivo e responsivo, in cui sono indispensabili la capacità di rispondere alle richieste e di mantenere un’attenzione focalizzata, la ricchezza di linguaggio e il calore affettivo.[1] Per tutto salvo che per l’aria, il bambino dipende totalmente dalla madre. Ma è l’orientamento che conta. Respirando, il bambino imbocca la strada dell’indipendenza, dell’autonomia, della libertà.
La natura ha fatto in modo che durante quel passaggio delicatissimo che è la nascita, il bambino venga ossigenato due volte invece di una: attraverso i polmoni e attraverso il cordone ombelicale.
Anche in quest’affermazione Leboyer ha anticipato l’OMS, che nel 2014 ha pubblicato le linee guida per il clampaggio ritardato del cordone ombelicale per favorire migliori condizioni di salute e di nutrizione della madre e del bambino [2].
Infine, ci dice il maestro, la cosa migliore è posare il bambino a bocconi, con le gambe e le braccia piegate sotto di sé. È la posizione antica, familiare. Lascia che il ventre respiri. E consente al bambino di evolvere secondo i suoi ritmi verso il rilassamento, l’apertura, il dispiegamento, l’allungamento.
Un ultimo aspetto che mi ha toccata particolarmente è quello della comunicazione con il bambino. È con le mani che si parla al bambino, che si comunica con lui. Toccarlo costituisce il primo linguaggio… È un linguaggio da pelle a pelle. Di quella pelle da cui derivano gli altri organi di senso. Che sono come finestre, aperture nel muro di pelle che ci limita e che ci separa dal mondo. Aperture attraverso le quali entriamo in contatto col “di fuori”. La pelle del neonato ha un’intelligenza, una sensibilità che noi neppure sospettiamo. È grazie a questa pelle che il bambino ha conosciuto il mondo: la madre. È mediante tutta la superficie della schiena che era in contatto con l’utero. È da lì che riceveva tutte le informazioni… occorre e basta che le mani che lo prendono parlino un linguaggio “viscerale”. Devono parlare e toccarlo come faceva l’utero. Insomma, le mani devono ritrovare la lentezza, la continuità di movimento della contrazione uterina, dell’onda peristaltica. Che per mesi il bambino ha conosciuto al punto che ora l’ha “nella pelle”…
Leboyer dedica le ultime pagine del libro, attingendo all’esperienza colta direttamente dalle donne indiane, alla descrizione del massaggio: È un massaggio forte, ravvicinato ma molto lento. Le mani percorrono la schiena del bambino una dopo l’altra, si succedono come onde, come flutti, senza rotture, indefinitamente. Una mano non ha ancora compiuto il suo percorso e già l’altra comincia.
Per fortuna la donna che è riuscita a partorire senza dolore è una donna che conosce le reazioni del suo corpo… Per riuscire nell’impresa difficile di partorire nella gioia, ha dovuto riscoprire il suo corpo. È riuscita a controllarne gli slanci scoordinati.
E anche il bambino sa. …lo stimolo che scatena le doglie viene dal bambino, esattamente come ritenevano gli Antichi. …E le madri attente e coscienti di ciò che avviene nel loro corpo sentono perfettamente il momento in cui, quando comincia il grande sforzo per l’espulsione, anche il bambino si mette a fare degli sforzi disperati…. Perciò occorre immediatamente rassicurare e pacificare il bambino. Attraverso le mani immobili ma cariche di tenerezza, senza una parola… Questo primo contatto, questo primo incontro della madre e del bambino: quanto è importante!
E poi?
Mettiamo il bambino, o meglio rimettiamolo, nell’acqua. Viene dall’acqua!… E quella prima separazione, invece che uno sradicamento, un’angoscia, diventa un gioco, una gioia… Totalmente “lì”, spettatore appassionato del suo corpo, intento a seguirne, a scoprirne le possibilità…
Dunque, si estrae lentamente il bambino dall’acqua. Lentamente come l’avevamo immerso. Egli ritrova il peso del suo corpo. Lancia un grido. Lo rituffiamo. Il corpo scompare! Lo tiriamo fuori di nuovo…. Posiamo il bambino su un fianco…. Per la prima volta il bambino è solo. E scopre… l’immobilità. Un’esperienza straordinaria!… E dentro il bambino, tutto si muove. Armoniosamente….
È questa grazia che aureola ogni bambino che arriva tra noi.
Frédérick Leboyer è nato il 1 novembre 1918 ed è morto il 25 maggio 2017.
[1] Hebert-Myers, H., Guttentag, C. L., Swank, P. R., Smith, K. E., & Landry, S. H. (2006). The importance of language, social, and behavioral skills across early and later childhood as predictors of social competence with peers. Applied Developmental Science, 10(4), 174-187. DOI: 10.1207/s1532480xads1004_2
[2] WHO. Guideline: Delayed umbilical cord clamping for improved maternal and infant health and nutrition outcomes. Geneva, World Health Organization; 2014 (http://www.who.int/nutrition/publications/guidelines/cord_clamping/en/).