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Riconosciamoci

Enrico partecipa al terzo incontro di “Diamoci una mano” che come sempre parte da una celebre frase

“Ho imparato che le persone possono dimenticare ciò che hai detto, le persone possono dimenticare ciò che hai fatto, ma le persone non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire”  
Maya Angelou

L’associazione Avventuno sostiene “le persone con sindrome di Down, le loro famiglie e i professionisti che collaborano al loro sviluppo e alla loro inclusione.” E lo fa con sensibilità e determinazione, un mix armonico tanto raro da trovare quanto efficace. Traspare dalle parole e dalla voce della direttrice e fondatrice Monica Induni-Pianezzi ai microfoni di Rete Uno per il terzo appuntamento di “Diamoci una mano”, condotto da Clarissa Tami e Mirko Bordoli.

Insieme abbiamo commentato la frase della poetessa afroamericana Maya Angelou. Mi aveva colpito sul sito dell’associazione il rilievo dato al concetto di autodeterminazione. Stiamo parlando di libertà, della possibilità offerta a tutti di esprimere il proprio essere e il proprio potenziale attraverso scelte attive, anche, e soprattutto, per chi può essere limitato da un disagio o da una malattia.

Il perseguimento dell’autodeterminazione richiede fiducia e il sentimento profondo dell’altro come persona. Questo ci porta alla frase di Angelou: perché gli altri non dimenticheranno come li abbiamo fatti sentire?

Perché la nostra identità si forma nella relazione. La relazione è originaria, ci costituisce come soggetti autonomi, perché ci permette di riconoscere e di essere riconosciuti.

La teoria del riconoscimento, a partire da Hegel fino agli sviluppi recenti, ci dice che il soggetto non si costruisce da sé ma passa attraverso complesse relazioni di riconoscimento attraverso le quali giunge all’autoconsapevolezza.

Il filosofo Axel Honneth articola la teoria del riconoscimento riconfermando che l’identità intersoggettiva, cioè si sviluppa attraverso il riconoscimento reciproco con gli altri e si articola secondo tre modalità intese come differenti declinazioni dello stesso rapporto:

      • la sfera primaria, cioè quella relativa alle relazioni sentimentali, familiari e amicali – ci consente di rispondere alla domanda: mi sono sentito amato? Ne scaturisce la fiducia in se stessi;

      • la sfera giuridica, che origina il riconoscimento dei diritti della persona, intesa come degna di rispetto – mi sono sentito rispettato? È la domanda che ne deriva e il risultato è l’autorispetto;

      • la sfera sociale: che dà luogo al riconoscimento della specificità individuale, attraverso la domanda: mi sono sentito stimato?Ne segue il potenziamento dell’ autostima, il riconoscimento delle capacità individuali e la costituzione della relazione comunitaria.

    Pertanto, la creazione di condizioni che consentano il processo di autodeterminazione, che significa impossessarsi della propria vita, richiede la compresenza dei tre momenti indicati da Honneth.

    Tuttavia non dobbiamo commettere l’errore di pensare in modo astratto, di pensare cioè un equazione del tipo: una relazione, una identità. Noi sperimentiamo molteplici relazioni nella nostra quotidianità e ciascuna di esse dà il via a un processo di riconoscimento che influisce sulla nostra identità. Il sentire che l’altro genera in me è dunque un sentirsi esistere.

    Ed ecco l’ultima, provocatoria conseguenza: i volontari e le volontarie diventano tali non per scelta propria ma perché scelti dal destinatario della loro opera di aiuto.

    Enrico Varsi

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